Il 2025 preoccupa e rende pessimiste le piccole imprese, anche quando i conti vanno bene. La crisi internazionale spaventa e non le fa investire né assumere. È chiara l’opinione delle piccole imprese italiane che scaturisce dalla indagine dedicata a ‘Le aspettative delle imprese per il 2025’, condotta dall’Area studi e ricerche della CNA, che ha coinvolto un significativo campione di imprese associate su tutto il territorio nazionale, tra queste anche diverse con sede nelle province di Novara, Vercelli e VCO.
I risultati dell’indagine sulle aspettative delle imprese per il 2025
Il 53,1% delle micro e piccole imprese artigiane, coinvolte nell’indagine sulle aspettative delle imprese per il 2025, prova difficoltà a formulare una previsione sull’andamento futuro dell’economia italiana. Una difficoltà dovuta al moltiplicarsi delle variabili soprattutto geopolitiche e geoeconomiche che, peraltro, stanno costringendo da tempo anche istituzioni autorevoli come la Banca d’Italia a rivedere frequentemente le previsioni sull’andamento dell’economia.
Tra le imprese che si sono fatte una idea più precisa il 28,5% ipotizza un 2025 difficile e caratterizzato da un peggioramento della situazione e solo il 18,3% degli intervistati è ottimista.
Il pessimismo è ancora più diffuso quando dall’andamento economico complessivo si concentra la visione sulla propria impresa. Su questo fronte cresce infatti non solo la quota di incerti sul proprio futuro (riguarda il 54,5% degli intervistati) ma anche di quanti prevedono dodici mesi insoddisfacenti per le imprese (30,2%) rispetto a un risicato 15,3% di fiduciosi.
La disaggregazione del campione fa risaltare l’opinione in controtendenza delle imprese con titolari sotto i quarant’anni. Il saldo tra ottimisti e pessimisti è positivo tra i giovani imprenditori (+2,3% il gap) relativamente alle sorti dell’economia italiana. Per i giovani il ‘sentiment’ è derivato dai costi generalmente più ridotti delle imprese nate di recente e da una visione dell’incertezza legata alla propria storia imprenditoriale, che presumibilmente si è da sempre confrontata con la precarietà.
Passando alla dimensione d’impresa, le più piccole (con meno di dieci addetti) appaiono più pessimiste di quelle più strutturate sul loro futuro mentre l’opinione negativa sul futuro dell’economia nazionale è allineato.
Una sensazione insomma complessivamente preoccupante, che potrebbe addirittura peggiorare, se (e ne è convinto il 39,3% delle imprese) perdurasse l’instabilità politica a livello internazionale. Altri fattori di rischio sono il costo del lavoro (32%), i costi delle materie prime (31,8%), la mancanza di politiche pubbliche a sostegno dell’economia (23,5%) e la difficoltà a reperire manodopera qualificata (22,1%). Tutti fattori esogeni, quindi, mentre minore preoccupazione viene manifestata verso quanto è più direttamente sotto il controllo delle imprese: concorrenza, rapporto con i clienti e gli istituti di credito, rispetto delle normative, necessità di stare al passo con l’evoluzione del settore, sfida della digitalizzazione.
Per CNA fermare gli investimenti è rischioso
“Non si tratta solo di sensazioni – afferma il direttore CNA Piemonte Nord Marco Pasquino – perché il dato complessivamente negativo nasce da una convergenza di elementi, che riscontriamo nelle testimonianze quotidiane delle nostre imprese. Dal fatturato alla quota di esportazioni, dall’occupazione agli investimenti, le previsioni hanno tutte un segno meno davanti. Nell’ordine la differenza tra risposte negative e positive segna una predominanza di saldo negativo del 31,6% per quanto riguarda gli investimenti, del 29,4% per l’occupazione, del 21,4% per l’export, del 18,4% per il fatturato totale. Nel complesso raggiunge il 42% la quota di imprese che hanno partecipato all’indagine che hanno dichiarato di essere decise a ridurre la spesa per gli investimenti e l’occupazione”.
“Sono scelte pericolose – aggiunge Massimo Pasteris, presidente CNA Piemonte Nord – perché fermare gli investimenti è rischioso, in una fase caratterizzata dall’introduzione massiccia di nuove tecnologie, e ridurre gli organici potrebbe aggravare il problema del reperimento di professionalità, già sentito ora, se il ciclo economico dovesse rafforzarsi”.